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Giulia Pairone

Il 30 maggio una sentenza di primo grado del Tribunale d’Ivrea ha condannato l’allenatore che per 4 anni ha abusato di me. Questa sentenza non è definitiva, ma porta giustizia e speranza non solo a me, ma spero anche a chi come me ha sopravvissuto una violenza in ambito sportivo. Lo so che la mia è una storia di sport di cui si preferirebbe non parlare o leggere, ma i dati ci dicono che in Italia 4 atleti/e su 10 subisco una violenza prima dei 18 anni ed è una responsabilità non rimanere in silenzio di fronte ad un fenomeno così allarmante. Così parlo un po’ della mia storia per chi avrà voglia di leggerla.

E parto da questa immagine del Foro Italico del 2013, che raffigura sia il dolore che vivevo in quel momento e di cui non riuscivo a parlare, sia del buio che avrei dovuto affrontare dopo, quasi come un brutto presagio. Una foto di una vita passata che non c’è più, ma che racconta di un posto in cui sono entrata da bambina e da cui non sono più tornata. Quel giorno avevo perso sì sul campo, ma a livello più profondo quello che avevo perso era me stessa. Perché quella violenza mi aveva gradualmente spenta, annullata e ammutolita. E la luce negli occhi di chi stava inseguendo il suo sogno un po’ follemente si era spenta, perché quel gioco si era trasformato in un inferno. Per anni ho desiderato solo scomparire, dandomi la colpa per tutto e nascondendomi dalla vergogna e dall’odio verso me stessa. Ma poi ho capito quello che mi era successo non era colpa mia e che neanche quella vergogna mi apparteneva, e ho iniziato a ritrovare quella ragazzina che avevo abbandonato.

Così, dopo 15 anni da quando questo inferno è iniziato e a 5 anni dalla mia denuncia, finalmente faccio un primo respiro a pieni polmoni. Di liberazione e di sollievo. Perché anche se ancora non è del tutto finito, finalmente sono diventata la donna di cui quella ragazza nella foto aveva bisogno. Quella che si è rialzata da terra, che si è ripresa il suo potere, che sa dire di no. Quella che ha di nuovo la luce negli occhi. Perché non si rimane bambine per sempre, si diventa le donne coraggiose e resilienti che alzano la voce e che si ribellano.

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